Innovazione di startup e microimprese: incentivi per l’acquisto di servizi professionali

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 4 settembre il Decreto 8 agosto 2024 del Mimit che definisce i criteri per la concessione dell’incentivo “Voucher 3I – Investire in innovazione”.

Il Decreto, attuativo della Legge sul Made in Italy per favorire la valorizzazione, la promozione e la tutela della produzione italiana e per il quale sono stati stanziati 9 milioni di euro per il biennio 2023-2024, intende sostenere l’innovazione di startup e microimprese con la concessione di un incentivo per l’acquisto di servizi professionali, resi esclusivamente da avvocati e consulenti in proprietà industriale, per la brevettazione delle invenzioni industriali.

In cosa consiste il “Voucher 3I”
Con l’incentivo sarà possibile acquisire alcuni servizi di consulenza forniti dai professionisti iscritti negli elenchi gestiti dal Consiglio Nazionale Forense e dall’Ordine dei consulenti in proprietà industriale, quali:

  • la verifica della brevettabilità dell’invenzione e ricerche di anteriorità preventive;
  • la stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi;
  • il deposito all’estero di una domanda che rivendica la priorità di una precedente domanda nazionale di brevetto.

Possono beneficiare del voucher 3I per la valorizzazione del proprio processo di innovazione le start-up innovative e le microimprese.

L’importo dell’agevolazione sarà concesso in regime “de minimis”, nelle misure di:

  • 1.000 euro + IVA, i servizi di consulenza relativi alla verifica della brevettabilità dell’invenzione e all’effettuazione delle ricerche di anteriorità preventive;
  • 3.000 euro + IVA, per i servizi di consulenza relativi alla stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi;
  • 4.000 euro + IVA, per i servizi di consulenza relativi al deposito all’estero della domanda nazionale di brevetto. 

Il termine per l’invio delle domande ad Invitalia, gestore della misura, sarà definito con successivo decreto direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Corte UE: la domanda di rimborso dell’Iva indebitamente fatturata e pagata ‘direttamente’ al Fisco è un’eccezione

Con sentenza del 5 settembre 2024 (causa C-83/23), la Corte di Giustizia UE ha affermato che il destinatario di una prestazione non può chiedere direttamente all’amministrazione tributaria dello Stato membro in cui è stabilito, la restituzione dell’Iva che ha pagato al fornitore di tale prestazione, il quale  aveva erroneamente fatturato l’Iva nazionale di tale Stato membro (invece dell’Iva dovuta per legge in un altro Stato membro) e l’aveva riversata alle autorità tributarie del primo Stato, nel caso in cui queste ultime abbiano già rimborsato l’Iva al fornitore della prestazione sottoposto a procedura di liquidazione.

La controversia ha riguardato sei operazioni di vendita con patto di locazione effettuate da una società, in favore di un’altra, entrambe con sede in Germania, negli anni 2007, 2008, 2010 e 2012.

La Corte Ue ha ricordato che la possibilità per l’acquirente o il destinatario di presentare la sua domanda di rimborso dell’Iva indebitamente fatturata e pagata “direttamente” all’amministrazione tributaria è un’eccezione, esperibile unicamente se il recupero di tale Iva presso il fornitore o il prestatore è impossibile o eccessivamente difficile, il che presuppone che l’acquirente o il destinatario non abbia trascurato alcuna possibilità di far valere i propri diritti al di fuori di tale situazione.

Nel caso di specie, invece, il fornitore, non ancora registrato nello Stato membro nel quale l’Iva è dovuta per legge, aveva la possibilità di registrarsi ai fini dell’Iva in tale Stato membro, in modo da poter poi, indicando un numero di identificazione fiscale di detto Stato membro, inviare al destinatario della prestazione una fattura che indicasse l’imposta del medesimo Stato membro, che avrebbe consentito al destinatario della prestazione di detrarre in quello Stato l’Iva versata a monte.
Di conseguenza, conclude la Corte UE, la ricorrente nel procedimento principale avrebbe potuto, per non dover sostenere il costo dell’Iva in questione, avviare un’azione civile contro il curatore fallimentare incaricato della liquidazione del fornitore di servizi al fine di ottenere una fattura comprensiva dell’Iva italiana, azione che invece non ha intentato.

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